E’ pesantissima la proiezione delle perdite per il commercio al dettaglio in Lombardia per il 2020: 8,2 miliardi (-40%). (stime Ufficio studi della Confcommercio milanese).
Il 65,8% delle imprese che subisce perdite è a conduzione familiare. Il loro reddito in emergenza COVID-19 scende nel 2020 al 40% di quello in contesto normale. E’ a rischio chiusura fino al 50% di queste microimprese.
A marzo i consumi in Lombardia erano già calati del 32%. (4,101 miliardi di euro) e le prospettive sono ovviamente ancora più negative, a causa del lockdown totale di aprile e delle molte attività commerciali ancora chiuse in questo mese di maggio di avvio della “Fase 2”.
E’ bene ricordare che, con 211 miliardi, la Lombardia rappresenta il 20% dei consumi nazionali.
I settori del turismo e dei servizi, fermi nella quasi totalità (tra il 90 e 100%) escono stremati da oltre due mesi di stop forzato. Secondo Federalberghi, nel 2020, il fatturato del comparto ricettivo subirà una perdita di quasi 17 miliardi di euro (‐71,4%) a livello nazionale.
Anche gli oltre 50mila esercizi della ristorazione lombardi sono pressoché fermi, con una parziale ripresa solo per il delivery e il take away. Ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro: Fipe-Confcommercio (la Federazione italiana dei pubblici esercizi) stima che ogni settimana di chiusura determini a livello nazionale una perdita di 1 miliardo e 700 milioni.
La ritardata riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di molte attività artigianali, come prospettato nel calendario della “Fase 2” non farà altro che peggiorare la situazione.
Ed è altrettanto evidente che se ci saranno alcune filiere in grado di ripartire immediatamente a regime, una volta rimosso il blocco, ce ne saranno tante altre, soprattutto le più colpite, come quella turistica, che avranno una ripresa molto lenta. E quando parliamo di filiera turistica parliamo non soltanto degli alberghi, già prostrati da un pressoché totale azzeramento della clientela, ma anche di commercio non alimentare, di attività legate all’organizzazione di eventi, del catering, delle attività d’intrattenimento.
Per questo è stata chiesta al Governo dalle nostre associazioni del settore del turismo la dichiarazione di stato di emergenza per il settore.
Il commercio non food è in ginocchio, con ordinativi stagionali sui quali nemmeno svendite e promozioni potranno compensare le perdite ingenti del comparto.
Sul fronte degli interventi per le imprese, resta al primo posto la necessità immediata di liquidità, più che con I prestiti, attraverso contributi a fondo perduto. La leva dei prestiti, per l’accesso ai quali peraltro si chiede un immediato azzeramento della burocrazia, dev’essere accompagnata dall’iniezione di soldi “veri”, specie per quei settori che hanno visto ridurre quasi totalmente il proprio fatturato.
Quanto alle locazioni commerciali serve il riconoscimento dello status giuridico della causa di forza maggiore con la possibilità, per l’operatore commerciale in affitto, di chiedere un indennizzo per fronteggiare il pagamento del canone di locazione. Dev’essere inoltre prevista l’estensione del credito di imposta per le locazioni commerciali anche per i contratti d’affitto d’azienda o di ramo d’azienda. E infine i tributi locali: servono equità e buon senso: se con la chiusura non produco perché devo pagare la tassa rifiuti?